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Channel: Viviana Correddu – Il Fatto Quotidiano
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1° maggio, ecco perché deve tornare alle origini: sia una giornata di lotta e non una festa

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Storicamente la giornata del primo maggio rappresenta le rivendicazioni operaie in una società che puntava a schiacciare i diritti dei lavoratori in tutti i paesi del mondo. Un giorno che non possiamo permetterci di vivere in modo provinciale pensando di limitarla a fave, salame e un po’ di musica. Per dire cosa tra l’altro? Per dire banalmente che è la festa delle lavoratrici e dei lavoratori e che c’è sempre più bisogno di diritti, salute e sicurezza, uguaglianza sociale? Mi pare evidente e scontato che sia così, come è altrettanto evidente e scontato che, anche solo vista in questi termini, non sia sufficiente dargli una connotazione che esclude la possibilità di cogliere questa giornata come una giornata di reale rivendicazione.

Quest’anno il primo maggio cade in un momento storico di guerra che ci coinvolge direttamente, nonostante si possa pensare che, continuando a guardare bombe che cadono solo in televisione, non ci riguardi se non in termini appunto di spettatori non ancora troppo preoccupati. Eppure è una guerra che esplode nel cuore dell’Europa, una guerra che coinvolge tutte le grandi potenze economiche internazionali e che è l’immagine definita e nitida delle contraddizioni del capitalismo che si concretizzano irrompendo nella vita della povera gente e nella vita dei lavoratori, soffocandone qualunque visione di futuro. Ma attenzione, questa guerra non sta colpendo solo i lavoratori ucraini e russi. Questa guerra colpisce in modi differenti ma impattanti i lavoratori di tutti i paesi e ce ne accorgeremo sempre di più nelle prossime settimane e mesi se non si fermerà il conflitto.

E allora, se il primo maggio è già una festa internazionale di per sé, lo è ancora di più in un momento come questo. Pensate cosa potrebbe significare se scioperassero lo stesso giorno i lavoratori italiani, ucraini, i lavoratori russi, americani, asiatici e di tutta Europa. Questa guerra sarebbe stroncata dalla forza di chi rivendica diritti e lavoro, di chi avrebbe il potere di fermare per un giorno l’economia mondiale. “Contro ogni capitalismo, lavoratori di tutti i paesi unitevi.”

Utopia? Io penso che l’utopia sia quella che ci viene propinata dai governi delle grandi potenze mondiali, dal capitalismo spietato della Russia, della Cina, dell’America, dell’Unione Europea e anche dal nazionalismo ucraino. Se pensiamo alla lotta per le otto ore di lavoro dei martiri di Chicago, che poi diventò lotta internazionale nonostante la risposta repressiva di molti governi, sfociando nella manifestazione del 1° maggio del 1890 (la prima manifestazione internazionale della storia), è facile rispondere che quel tipo di reazione non è utopia e possa quindi essere nuovamente possibile.

In quegli anni si lottava per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore e per conquistare diritti e condizioni di lavoro. Oggi paradossalmente siamo al ribaltamento delle istanze su alcuni temi perché viviamo nell’epoca del part time involontario e delle mille forme di precariato che vogliono annientare la capacità di rivendicazione attraverso il ricatto; e poi abbiamo temi sempre più attuali: lavoro grigio e nero, condizioni su salute e sicurezza sempre meno praticate che producono almeno due morti al giorno solo se pensiamo al nostro paese. E poi ancora un’inflazione sempre più in crescita, siamo al massimo storico degli ultimi 20 anni, e il potere di acquisto dei lavoratori che di conseguenza diminuisce.

Quindi salario e orario quali temi da impugnare con forza, al di là delle riforme fiscali, per contrastare ciò che attraverso l’inflazione e le dinamiche economiche e geopolitiche subite dai lavoratori di tutto il mondo sta producendo un meccanismo pericolosissimo per cui anche chi ha un lavoro rientra nelle fasce di povertà, in un sistema stritolante che non conosce confini nazionali, colore della pelle, lingua, tradizioni. Ecco perché il primo maggio deve tornare alle origini ed essere una giornata di lotta internazionale. Banalmente perché lo è già stata e deve esserlo a maggior ragione visti i tempi bui in cui viviamo.

“La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re, non si rende conto che in realtà è il re che è Re perché essi sono sudditi.” Ecco la chiudo così. Con ciò che in modo molto semplice diceva Marx per rendere evidente il meccanismo in cui ci auto commiseriamo pensando che ogni idea di slancio verso il ribaltamento del sistema capitalista sia utopia. Quindi abbiamo due possibilità: continuare a mangiare fave e salame finché ce n’è oppure dare un segnale di lotta durante una giornata così importante e pregna di significato.

L'articolo 1° maggio, ecco perché deve tornare alle origini: sia una giornata di lotta e non una festa proviene da Il Fatto Quotidiano.


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